Una cosa l’abbiamo capita: nel Cile del nord i villaggi sono, per lo più, desolati.
Ovunque arriviamo ci sentiamo sempre gli unici esseri viventi in zona.
Poi non è così, scopri che c’è un negozietto con pochi viveri primari, dalle case che sembrano abbandonate escono persone, ci sono cani randagi ovunque, perciò qualcuno da loro cibo, e magari passando a qualche baracca puoi sentire una lieve musica di qualche vecchia radio a pile, sintomo di presenza umana.
Ma andiamo per gradi.
Eravamo rimasti a noi salvi per pochi minuti da una grossa slavina fangosa, ospiti in una stanza di una societá che lavora il sale del Salar Cebollar.
Ci siamo Svegliati presto per capire se fosse possibile arrivare in Bolivia, durante la notte non sono passate auto ne bus, nessuno transitava da quella strada ormai da piu di 20 ore. Il capo della societá ha chiamato la polizia per noi e si è accertato che fosse possibile transitare, così ci siamo vestiti di tutto punto, pronti ad ogni situazione metereologica e dopo un abbondante pranzo, siamo partiti.
Il tempo non era proprio dei migliori ed il cielo sembrava un unico blocco grigio su di noi.
Dopo pochi metri, infatti, ha iniziato ha piovere.
La cosa incredibile è che la strada girava lungo due Salar, grossi laghi essiccati millenni orsono che hanno lasciato spazio ad immense distese bianche di sole compatto misto a minerali, perciò lo spettacolo, nonostante la pioggia ed il cielo grigio, era fenomenale.
I fenicotteri rosa abbondavano ed i raggi del sole, che a volte filtravano tra una nube e l’altra creando effetti scenografici incredibili,lasciavano senza fiato..che già era molto molto poco data l’altitudine.
Sullo sfondo picchi innevati circondati da nubi come nei cartoni, ciambelle di batuffoli di cotone intorno alla punta riflesse nelle lagune formatesi nei Salar sottostanti, semplicemente spettacolari.
Ad un certo punto, abbiamo aggirato un montarozzo, lasciandoci alle spalle un Salar per entrare in un altro.
Il leggero dislivello e la presenza del montarozzo hanno comportato un cambio climatico. Improvvisamente più freddo, più acqua e la strada restrinta tra un pendio fangoso e dal facile cedimento ed un salar trasformatosi per le piogge in laguna fangosa.
Cielo nero, pioggia ed eccoci al blocco, una sola ruspa in azione. Strada del tutto ricoperta di fango e pietre. La situazione non prometteva bene.
Un operaio ci ha fermato per metterci in guardia ed in effetti, quando abbiamo iniziato a scendere abbiamo capito il suo timore. La macchina bloccata dal fango era ancora lì e la pioggia in aumento non aiutava la sua liberazione.
Ci siamo impantanati varie volte e ad un certo punto ci siamo resi conto che la strada era davvero pericolante ma, sopratutto, eravamo soli. Non passavano auto.
Ammetto di aver avuto un attimo di cedimento psico-fisico. Forse meglio dire abbiamo avuto ma siamo andati avanti. Nel cielo, nella nostra direzione, si vedevano meno nuvole quindi l’importante era pedalare il più possibile per uscire dalla tempesta e da quel versante cosi tanto pericolante.
È stata dura. La strada ha iniziato a salire, come sempre, arrivati in cima il cielo all’improvviso nuvoloso ma con sprazzi azzurri. Scollinata l’ennesima vetta siamo scesi a piú non posso, Ollague si intravedeva infondo alla discesa e con grande innocenza abbiamo iniziato a fantasticare sul posticino in cui avremmo passato.
Ollague è uno di pochi punti di confine sempre aperti, perchè ci sono anche quelli che vanno a piacimento degli ufficiali, tra Cile e Bolivia voi, mi domando, come ve lo sareste immaginato?
Non dico New York City ma neanche l’abbandono più totale.
Le uniche presenze erano degli operai che con la scala inserita nel braccio della ruspa cercavano di aggiustare un lampione, una signora che lavorava per l’unico “alojamiento”, ovvero ostello, CHIUSO e poi il Signor Estefan, colui che gestisce un Almacen, negozietto che rifornisce tutti gli abitanti e che fa anche da panaio.
Dicono ci siano 230 abitanti, persino una scuola!!
Tutti in vacanza, tutti fuggiti per le vacanze, il brutto tempo tiene lontani anche gli abitanti di questi luoghi sperduti.
Comunque, entrati sconcertati nel negozio di Stefan abbiamo chiesto dove dormire ed in maniera un pò riluttante ci ha detto di avere la soluzione ma che non ci sarebbe piaciuta.
Panico.
Ci siamo aspettati il peggio..oddio..se non fosse la situazione in cui siamo lo potremmo considerare tale.😝
Ci ha fatto fare il giro delle baracche, un cancello malridotto, conigli in gabbia, auto abbandonate ed una porta. Una stanza grigia con una televisione attaccata al muro ed 8 letti perfettamente rifatti.
Abbiamo esultato, al pensare che ci sembrava fantastico mi vien da ridere.
Ci siamo sistemati e poi ci siamo arrangiati per la cena.
Non sappiamo bene perché ma Stefan ci ha preso sotto la sua ala protettiva e nonostante dopo poco siano arrivati 3 autobus pieni di turisti, non ha proposto l’alloggio a nessuno, per farci dormire tranquilli.
I tre autobus tra l’altro hanno passato la notte li, ad Ollague, la strada da cui eravamo passati era nuovamente franata, poco dopo il nostro passaggio, perciò tutti coloro che arrivavano venivano bloccati.
Bus interi di gente che ha passato la notte in bus, al freddo e con cibo di fortuna, del negozietto di Stefan.
La nostra cena sono stati noodles precotti e wurstel con formaggio gouda, una delizia per il palato!
Finalmente siamo riusciti a dormire 8 ore di fila.
La voglia di lasciare il Cile è stata tanta, voglia di un tempo diverso, di persone diverse, magari in generale di più gente!
Voglia di storie, di aneddoti, di persone “indigene”.
Cosi la mattina, dopo aver fatto colazione nel negozietto, accompagnati dall’odore del pane di Stefan, ci siamo fatti forza e con una tecnica imbattibile abbiamo affrontato anche il problema delle scarpe bagnate, abbiamo provato ad asciugarle con il mio phon da viaggio comprato in Vietnam che puntualmente ci ha abbandonando con scintille annesse lasciandoci con capelli e scarpe zuppe.
Abbiamo usato la strategia di Filippo, il mio “uomo soluzione”, mettendo calzino asciutto, piede infilato nel sacchetto di plastica e via senza timori, con nastro adesivo a chiudere per evitare gocce intromettenti.
Ci siamo bardati come sempre e poi..la disfatta.
Arrivati dopo un km alla dogana ci siamo sentiti dire un categorico: “non potete andare in bicicletta”.
Dopo aver calcolato tutti i possibili giri, aver cercato più informazioni possibile sul meteo, il no è stato un macigno.
Ma non abbiamo avuto tempo di demoralizzarci abbiamo capito che la soluzione era una, saltare la parte disastrata con l’aiuto di qualcuno e ripartire da zero, con le nuvole alle spalle.
In coda allo sportello per il timbro di uscita un signore dalla faccia gentile e dal pick-up vuoto..non mi ha fatto neanche finire la domanda, aveva gia capito e gia deciso di aiutarci.
Con il consenso della dogana, e della polizia di entrata della Bolivia, abbiamo caricato le bici e siamo partiti con Fabio.
Un pò di dispiacere ma anche sollievo, la strada era davvero inaffrontabile pur con tutta la buona volontà del mondo era assolutamente inaccessibile a due biciclette per km e km. Una strada era del tutto chiusa e quella fatta con Fabio era piena di guadi e fango alle caviglie per almeno 150 km.
Dopo pochi minuti abbiamo preparato un panino a Fabio, gli abbiamo dato acqua e all’arrivo gli abbiamo pagato la nostra parte ma..lo volete sapere?
Siamo rimasti cosi delusi dai paesini cileni e dall’accoglienza cilena che se il buongiorno si vede dal mattino, la simpatia e la carineria di Fabio ci hanno fatto sperare bene.
(Con il senno di poi vi dico che è proprio così).
Dopo pochi minuti ci siamo sentiti pervasi da un calore improvviso..la plastica dei piedi..la proveremo un’altra volta ahahahahhhaa.
Siamo arrivati dopo 6 ore di pick-up, 6 ore per fare 200 km, chissà in bicicletta come sarebbe andata.
Arrivati a Huyuni un bel sole splendente e la voglia di chiudere un capitolo ed aprirne un altro.
Così abbiamo fatto!
La Bolivia è incredibilmente affascinante.
Claudia e Filippo
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