Probabilmente nessun viaggio fatto fino ad oggi ci aveva messo così duramente alla prova.
Il deserto di Atacama..un posto irreale, in cui ti dimentichi di tutto.
Una distesa lunare di rocce sabbiose che non danno spazio all’immaginazione.
Una condizione estrema in cui non riesci ad evadere con la mente.
Il deserto ti tiene lì, attanagliato alla strada senza farti scordare un secondo dove sei.
È una sfida tra te e lui.
Ci puoi parlare, davvero, ci puoi parlare. Ma non puoi evaderlo.
Ti tiene lì, ti ricorda passo passo che lui è più forte e che tu devi darti da fare per resistere.
La strada sembra piana invece non lo è, ci tiene sempre a tiro con una maledetta pendenza dell’1% che sembra banale ma per 70km, costante, credetemi, non lo è affatto.
Il caldo non è la cosa più terribile anche perché c’è sempre un costante venticello che ti affronta o che ti spinge, cambia continuamente spezzandoti le gambe.
Pedalavamo consapevoli di andare abbastanza veloci ma con la sensazione di non muoverci.
La testa è la vera forza e spesso ahimè molla il colpo.
Io ho durato tanta fatica fisica e mentale, se Filippo non mi avesse spinto mentalmente ed anche fisicamente, se non avesse tenuto i nervi saldi io forse avrei mollato. Lo ammetto. È stata una lotta costante ed ammetto di aver parlato come una matta con il deserto, come se fosse una persona lì a sfidarmi ed ascoltarmi.
Non c’erano punti all’ombra, vento contrario ma, sopratutto, non c’erano punti di riferimento. Sembrava tutto immobile e quando da lontano abbiamo avvistato gli alberelli della unica cittadina presente prima di Calama, il nostro obiettivo, ho pensato: è fatta.
Da quel momento in cui abbiamo pensato così, al nostro arrivo, è passata un’ora!
Gli alberi erano lì, sembrava di toccarli e quando ho pensato di avercela fatta e mi sono leggermente rilassata ci siamo resi conto che mancavano più di 10 km.
Non si muovevano, ma la prospettiva che fine a fatto? Non esiste qui, vedevamo gli alberi e non cambiavano mai!!
La mente ha mollato e psicologicamente abbiamo imparato ad affrontare una situazione che non avevamo mai affrontato. Non così. Siamo alla terza tappa e ci sembra di pedalare da settimane.
Poi però..siamo arrivati, ci siamo fiondati nel baracchino più vicino, coca cola ghiacciata, cous cous avanzato nella nostra “schiscetta” e tutto è passato, pouf, annullata la fatica.
Il posto si chiama Sierra Gorda, un accrocchio di casupole costruite intorno alla strada, abitate solo da minatori di passaggio, ci siamo riposati e con la coca cola ghiacciata ci siamo goduti i colori del deserto, come ve lo spiego, è stato come se si ripagasse tutta la fatica.
I monti intorno hanno colori che vanno dal grigio al rosso al marrone e con la luce del tramonto cangiano e ti rapiscono.
Gli unici abitanti sono minatori di passaggio, simpatici, molto amichevoli ma riservati e ci facciamo dare qualche informazione ma come in Africa, nessuno sa mai niente, conoscono quello che “vivono” ma non cosa ci sia poco più in là. Ci affidiamo ai consigli di qualche trasportatore che di strade ne percorre di più dei minatori e la tappa di domani è calcolata in un batter di ciglio anche perché si parla ancora di deserto..c’è ben poco da calcolare. Pranzo al sacco e la speranza di trovare un cartellone per avere un pochino di ombra.
Anche qui dormiamo a porta aperta..perché qui nessuno scappa.
Se non ti prende la polizia ti prende il deserto.
Quindi, prossima città: Calama, famosa per la miniera di Rame a cielo aperto più grande al mondo e per le persecuzioni subite durante l’epoca di Pinochet.
Domani vi sapremo raccontare qualcosa di più.
Abbiamo deciso di svegliarci alle 6 e sfruttare il venticello mattutino.
Quindi adesso vi saluto, abbiamo un discorso in sospeso con il Deserto, dobbiamo prepararci al meglio.
Buenas noches desde Sierra Gorda, Cile.
Claudia e Filippo