E così, siamo ad Ho Chi Minh. Gli ultimi due giorni sono stati una corsa vera e propria per raggiungerla. Ce la siamo immaginata intrigante, caotica, con una storia imponente alle spalle, i suoi mercati, il fiume Mekong lento e sinuoso tra i suoi viali affollati di motorini e piena di luci al calar del sole sulle terrazzine piccole tra i palazzi lunghi e stretti tanto caratteristici, piene di persone intente a chiaccherare davanti ad un tipico caffè con ghiaccio. L’abbiamo trovata esattamente cosi, come la immaginavamo.
Arrivarci è stato un susseguirsi di sorprese, soltanto gli ultimi 200 km non ci hanno regalato particolari scorci o meraviglie paesaggistiche ma non ci siamo certo annoiati. Nonostante manchi il paesaggio marino, che ci si potrebbe aspettare dalla lunga strada costiera, dilagano i frutteti. Immensi, come le risaie, a perdita d’occhio.
Ci siamo trovati circondati da una strana pianta grassa, per chilometri, solo dopo un pò abbiamo capito che si trattava del DRAGON FRUIT. Lo avevamo mangiato e bevuto ma senza capire dove e come venisse prodotto. Adesso sappiamo che ne esistono due tipi che esternamente sono uguali ma internamente sono diversi. Uno bianco ed uno fuxia. Il sapore cambia mentre la consistenza no. Quello fuxia costa il triplo. Sono buonissimi, hanno una consistenza strana un misto tra il cocomero e l’arancia. Hanno un sapore dolciastro ma non troppo, aspro ma non troppo, dolce ma senza poterlo definire dolce, sono buonissimi e rinfrescanti! Un frutto controverso. Nascono da una pianta grassa e prima di produrre il frutto produconoun fiore bianco bellissimo. Ce ne sono distese a perdita d’occhio nelle campagne tutto intorno ad Ho Chi Minh. Ce li siamo gustati lungo le tappe, uno stop rinfrescante e vitaminico non ce potevamo far mancare.
Ma parliamo della cosa più divertente del momento il TÊT ovvero il capodanno vietnamita. Si basa sul calendario lunare, quest’anno i festeggiamenti ufficiali sono iniziati il 6 febbraio e finiranno il 12 febbraio, l’8 sará l’ultimo ed il 9 il primo dell’anno. Durante queste festivita tutti tornano dalle famiglie, le citta si svuotano, i negozi chiudono, musei, mercati, chiude tutto. Si respira aria di festa, si vendono piante e fiori ovunque, fuochi, lanterne, mercati notturni, luci, alberi di biscotti votivi per gli altarini casalinghi, incensi di ogni tipo e sopratutto le famiglie,riunite , organizzano cene e pranzi di gruppo ovunque. Ciò, signore e signori, significa essere invitati ogni 5 minuti a bere o mangiare qualcosa per condividere il clima di festa, un pò della loro felicitá e sopratutto significa DOVER partecipare ai loro riti ( è rinomata l’insistenza vietnamita) primo fra tutti: il karaoke. Sport nazionale che adesso si esprime al massimo delle sue forme.
Ma, per farvi capire meglio, vi racconto meglio gli ultimi due giorni.
Arrivati a La Gi, ieri l’altro, ci siamo diretti verso l’unico hotel che ci appariva sulla mappa, pulitissimo e nuovissimo ma apparentemente chiuso. Abbiamo pensato alle vacanze del TÊT, stavamo per andarcene quando una ragazza sorridente ci è corsa incontro gridando e si è precipitata ad aprirci la porta. In effetti sentivamo delle voci con della musica ma non avevamo capito provenissero dal retro dell’hotel dove Tutta la famiglia e tutto lo staff Stavano festeggiando l’innaugurazione dell’hotel stesso e per l’occasione anche l’arrivo dell’anno nuovo. Felici e soddisfatti ci siamo sistemati in camera, ci siamo distesi per rilassarci prima di andare a cercare un posto per mangiare, cotti dopo 100 km sotto il sole cocente, quando all’improvviso ha suonato il telefono. Superato lo stupore iniziale, per il fatto che in una camera pagata 8 euro ci fosse un telefono, abbiamo risposto ed una voce sovreccitata ci ha urlato: “vi preghiamo di scendere per unirvi alla nostra festa”.
Abbiamo pensato di far finta di niente ma questa telefonata è stata ripetuta 3 volte in un quarto d’ora per cui non abbiamo potuto piú indugiare. Ci siamo fiondati nel retro dell’hotel incuriositi. Cosa abbiamo trovato, la situazione seguente: una quindicina di persone belle avanti coi festeggiamenti, con una tavola imbandita di riso, pollo al curry, polpo cotto, pollo al ginger, patate, pane, noodles, birra..tanta..tantissima birra e due microfoni vaganti che passavano di mano in mano per cantare la canzone lanciata a tutto volume da un impianto stereo, che farebbe in invidia a qualsiasi organizzatore di feste occidentale collegato ad un mega schermo con le parole da cantare. Ci siamo seduti ed abbiamo iniziato a brindare e brindare, mangiare e brindare, brindare e mangiare. E poi Sì, la risposta alla domanda che giá avete ironicamente nella mente è Sì, abbiamo cantato anche noi. Impossibile rifiutarsi. Hanno insistito perchè cantassimo in vietnamita ma visti gli scarsi risultati si sono procurati subito un programma che traducesse le canzoni in inglese per poterci far cantare meglio. La prima son stata io, obbligata dalla ragazza della reception che Ha scovato una canzone degli Abba, ‘Happy New Year”, e che mi ha costretta a cantarla due volte no stop come augurio per la loro innaugurazione. (Pena sognarmela per tutte le notti seguenti come un disco rotto e trovarmi a fischiettarla pedalando). Una volta rotto il ghiaccio é stato tutto in discesa o è andato tutto a rotoli se meglio si crede 😜 Neanche il piu restio, Filippo, è riuscito a sottrarsi al passaggio del microfono. Tra risate, traduzioni maldestre, canzoni neo melodiche vietnamite (immaginate un Mino Reitano misto a Gigi d’Alessio), birre ghiacciate, domande curiose, pollo in tutte le salse e tanta tantissima allegria abbiamo trascorso un pomeriggio diverso dal solito. La padrona, dolce e signorile ci ha dato il permesso di andarcene solo quando ci ha espresso la gratitudine per essere stati con loro almeno 5 volte tramite il traduttore vocale di google..cioè..non so se avete capito bene, loro hanno ringraziato noi!! Noi che ci sentivamo intrusi e non sapevamo come sdebitarci. Assolutamente incredibili. Ci siamo allontanati increduli (con la camminata post cenone natalizio, quella lenta e mesta Con cui ti trascini sul primo divano o letto di casa), li abbiamo lasciati tutti lì a cantare. Piu o meno hanno continuato fino alle 17, circa 5 ore di karaoke durante 5 ore di pranzo ininterrotto.
Così, quando siamo partiti la mattina seguente ci siamo sentiti ‘riempiti di bei sentimenti’ e gongolanti abbiamo proseguito il cammino. Ci siamo ritrovati di nuovo in una parte lungo mare assurda, desertica non troppo interessante, con poche case di pescatori ai lati e poca spiaggia, molti allevamenti di cozze. Poi, all’improvviso il solito cambiamento repentino, dalle palme e gli allevamenti di cozze alle le dune di sabbia altissime. Svettante sulle dune un resort 5 stelle, enorme, assurdo, quasi irreale, con un golf privato sulle dune. Sembrava di essere a Las Vegas, il tutto dal niente. Addirittura un golf con il pratino tagliato a regola d’arte sulle dune di sabbia senza ripari all’ombra! Chilometri e chilometri di dune proprietá del resort, intorno il niente.Era l’ora di pranzo, sole a picco e niente di niente per fermarsi. Pensavamo di dover tirare a dritta prima di poter mangiare o bere qualcosa, un pò preoccupati. Poi, d’un tratto delle voci in lontananza ed improvvisamente una scritta al bordo della strada:’cafe’. Ci fiondiamo e cosa troviamo!??
Un pranzo di tutto lo staff che festeggia l’innaugurazione del ristorante-cafe ed il capodanno.
Siamo entrati soddisfatti. Appena entrati ci hanno invitati ad unirci. Non ci crederete ma abbiamo rifiutato, con gentilezza abbiamo rifiutato anche il secondo invito e ci siamo seduti all’unico tavolo libero. Abbiamo ordinato la coca cola ed è arrivata la padrona stessa, che parla inglese, chiedendoci ancora di unirci. Al nostro terzo rifiuto, senza esitare, ci ha portato dei vassoi e ci ha ordinato amichevolmente di mangiare. Il padrone, un simpatico vecchino ha preso un violino ed intonato maldestramente ma tanto dolcemente un ‘Torna a Sorrento” . Morale, siamo stati un’ora tra loro, tra karaoke, cibo e tanta, tanta allegria. I vietnamiti in queste occasioni ci ricordano Il nostro sud Italia, con quell’atmosfera che noi centro-nordisti non conosciamo troppo. Quell’atmosfera che a volte prendiamo in giro, bonariamente, ma che poi una volta provata resta indelebile e, diciamolo, ci piace anche. Quella convivialitá che dura ore ed ore, dove giovani e vecchi si fondono per condividere qualsiasi tipo di evento con lo stesso folle entusiasmo e le gambe ben posizionate sotto tavole imbandite di ogni tipo di leccornia tipica. Questo capodanno vietnamita é divertente.
Insomma, siamo arrivati in cittá super caricati da tutte queste feste e speranzosi di vivere il loro capodanno ancora e ancora e poi ancora.
Ho Chi Minh è caotica ma, come raccontato all’inizio, è tutto un flusso. Tanto traffico ma non si vedono persone che accellerano, incidenti o sorpassi avventati, tutto si muove in un lento flusso. Devi capirne il ritmo ed il gioco è fatto. Milioni e milioni di motorini con a bordo qualsiasi numero di persona cosi come qualsiasi tipo di oggetto e clacson che impazzano ma non disturbano troppo. Nonostante la confusione, nonostante la quantitá di gente e motorini credetemi, si respira una sorta di calma. Non si respira per niente frenesia, tutti mantengono quella calma e quello sguardo che può apparire di primo acchito ‘inespressivo’ ma non lo é affatto. A volte sembrano talmente calmi, con quello sguardo lì, quello che sembra inespressivo, che quasi fanno rabbia. A volte fanno la cosa piu assurda senza batter ciglio e te, che vorresti imprecare e magari fargli un dispetto per fargli capire che stanno sbagliando alla fine li guardi, resti ipnotizzato da quello sguardo, dalla calma e magari dal loro sorriso e dalla loro non chalance e non puoi che lasciar correre ed assecondarli. È così, davvero, alla fine tutti si assecondano senza batter ciglio, senza parlare, capisco bene il detto “la pazienza é la virtu dei forti”. Quindi tutto risulta piacevole, tutto scorre. Così, risucchiati dal flusso ci siamo addentrati nei meandri della cittá, tra il distretto cinese, pagode nascoste, parchi palmati e poi ci siamo diretti al Museo Dei Reperti Bellici.
Non ci credevamo. Ce lo avevano detto ma non ce lo aspettavamo così. Non ci era mai successo. Ci siamo commossi. Non ci credo neanche a scriverlo invece è cosí. Un museo tanto ‘semplice’ ed essenziale quanto sconcertante-deprimente-triste e purtroppo realmente vivo. Tutto ció grazie al fatto che sia basato su immagini. Un museo di foto. Enormi, medie, piccole in tutti i formati sono lì, appese ti rapiscono. Ti trattengono fermo lí, in piedi, sospirante, incredulo con miliardi di pensieri che iniziano a scombussolarti la testa. Pensieri banali, pensieri ignoranti, pensieri maledetti, pensieri cattivi, travolgenti, tristi, qualunquisti quanto ben individuali, seri e provati da quella cosa terribile che è la guerra. Il fatto che il museo sia fotografico rende davvero tutto estremo. Come se ogni immagine avesse una sua didascalia propria, intrinseca, che non è quella di tre righe messe sotto la cornice. Soggetti vivi, tanto vivi e reali da sembrare finti, da sembrare messi in posa. Impossibile restare impassibili. Impossibile. Abbiamo iniziato a guardare il museo chiaccherando, provando a chiarirci i dubbi storici, cercando di capire il punto di vista dell’uno e dell’altro ed abbiamo, passo dopo passo, lasciato spazio al silenzio, cosi come tutti intorno a noi. Il museo era pieno ma tutto andava sempre piu ammutolendosi. Silenzio che a volte sembrava misto a vergogna, paura e rispetto per un qualcosa di cui per un attimo ci siamo sentiti quasi colpevoli. Terribile. Una commozione profonda e silenziosa. Inspiegabile forse a parole. Commovente. Straziante. Ogni parola o commento mi sembra superfluo.
Siamo usciti e ci siamo diretti verso il mercato per recuperare lo spirito rattristato, pensando che il caos potesse fare da ‘scossone’, cosi e stato.
Mercati enormi ovunque. Puzza di pesce e di carne, odor di cotone, profumi di spezie e frutta secca, grida, urla, mercanti che cercano di venderti qualsiasi cosa ma con discrezione, luci, fiori, frutta ci siamo scossi a dovere e concessi un pranzetto in una bancherella che ci ha scodellato riso e calamari ripieni alla cifra di 3 euro. Una birra ghiacciata e ualá, le jeux sont fait, pronti a ripartire ricaricati alla scoperta delle meraviglie della cittá.
Stasera è arrivato Simone, domani dedicheremo la giornata a girellare con lui e cercare un meccanico per assettare la bici con i pezzi che mancavano.
vi mettiamo anche la foto del simpatico ragno, enorme, brutto, schifoso che ha creato il panico. Ce lo siamo trovato sulla testata del cuscino e la reazione è stata tragicomica. L’impulso è stato quello di scappare, poi ci siamo messi a parlare sottovoce come se il ragno captasse le nostre voci e dopo un attimo di esitazione, abbiamo dovuto eliminarlo. Con il panico negli occhi abbiamo cercato foto su internet che, come sappiamo bene come prime risposte da sempre le piu tragiche. Abbiamo riconosciuto quel ragno in tanti tipi di ragni velenosi, mortali, stavamo per sentirci male senza neanche essere stati morsi. Abbiamo addirittura contattato un amico professore universitario, Prof. Vannini, per un consulto rapido. Su consiglio del Prof. abbiamo portato il ragno tremanti alla proprietaria dell’hotel che si è beffata di noi.
Vi saluto con l’immagine di Filippo che tiene il ragno morto su una ciabatta con braccio teso e tremolante ed una donnina vietnamita che con sorriso beffardo lo prende con le dita, senza curarsi che fosse vivo o morto, e lo lancia poco piu in la si volta e ci fa segno di stare tranquilli. Non chiedetemi come, noi abbiamo interpretato con ‘non preoccupatevi’ e continuiamo a credere volesse dire quello.
Qui intanto siamo diventati in tre, Simone lo abbiamo portato addirittura in camera tripla con noi. Siamo pronti ad una nuova esperienza. Che il viaggio a sei pedali abbia inizio 😊
Claudia e Filippo