Per la prima volta nel nostro lungo viaggio abbiamo odiato la nostra tenda.
Sembra brutto dirlo..ma non abbiamo mai odiato tanto la nostra capsula verde perfetta ovunque ma trasformatasi, in questa notte calda, in un forno crematorio.
“Potevate aprirla un po”
No!altrimenti sarebbero entrate le zanzare.
Cosi tra una maledizione ai produttori di capsule crematorie, una maledizione al dio Eolo che ha evidentemente preso ferie, una maledizione alle zanzare malariche, una all’umiditá, una al caldo ed una alla sparizioni delle mezze stagioni, che ci sta sempre bene, abbiamo trascorso una notte infernale.
Ad aggravare il tutto il raffreddore di Filippo, che ha aumentato a livelli spropositati il numero di maledizioni, e la pioggia incessante iniziata quando ci siamo infilati i caschetti e deciso di incamminarci verso il confine.
No, la giornata non inizia bene, ma stiamo per varcare il confine, niente e nessuno puó intaccare la nostra grinta.
Il confine é costituito dal fiume Ruwuma che si trova a 32 km da noi, la strada é sterrata e non sempre agibile in bicicletta, la pioggia trasforma tutto in fango, ma aspettiamo la fine della pioggia e ci incamminiamo speranzosi che non ricominci.
Il battello che ci deve portare in Tanzania parte poche volte al giorno, in base all’alta e bassa marea, oggi partirá alle 10, siamo in ritardo ancor prima di partire.
Nel caso in cui si perda il battello dovremo cercare dei pescatori che ci carichino con le biciclette e per delle cifre spropositate ci portino sull’altra sponda.
La strada comincia bene ma continua male, per non dire malissimo.
Pedaliamo come schegge, ma ad un certo punto il dramma, l’inaspettato dramma, quello che nessuno si aspetta: Filippo appoggia la bicicletta in terra e si accascia sotto un albero, il raffreddore si é improvvisamente trasformato in qualcosa di piú.
Iniziamo a cercare tutte le motivazioni del caso, il caldo improvviso, il mancato dormire, la scarsa colazione, la stanchezza perfino l’invidia per non aver ancora varcato la soglia di un ospedale africano rispetto a me, la mancanza di voglia di correre al traghetto, tutto per scongiurare la peggio delle ipotesi.
Abbiamo 15 chilometri di sterrato davanti, 1 ora prima della partenza del traghetto e Filippo color “Adams” sdraiato sotto un albero.
Aspettiamo il ritorno di un colorito piú umano sul volto di Filippo e ci incamminiamo spingendo le biciclette fino all’ufficio di immigrazione mozambicano.
Una strada che sembra inpraticabile ed infinita.
Arriviamo al posto di polizia e fortunatamente tutto fila liscio, qualche domanda di routine e veniamo indirizzati al traghetto che pare sia in ritardo, possiamo farcela.
Mancano 4 km nella cosi detta “Terra di nessuno” per raggiungere il Ruwuma, un pasticcone di tachipirina per Filippo e ci fiondiamo.
Ci sentiamo come in “giochi senza frontiere”, é come se avessimo un grosso timer sulla testa che scorre veloce sentenziando e ricordandoci, ad ogni buca fangosa, l’inevitabile perdita del traghetto.
Corriamo corriamo e corriamo, ad un certo punto mi volto e non vedo Filippo: sono in mezzo ad un bosco nel fango, nella terra di nessuno, l’unico mio punto di riferimento é sparito.
Un attimo di sussulto poi..eccole.. le maledizioni gridate al vento con quell’accento fiorentino a me familiare..si é rotto il porta pacchi, torno indietro e vedo Filippo, tornato ad essere un pó “Adams” piegato sulla bicicletta armato di pinze e fascette.
Lo lascio lí per correre al traghetto e cercare di fermarlo.
Corro verso l’unica strada possibile e vedo qualcosa lontano tra le frasche, sembra un molo, chiedo a due seduti sotto un albero indicazioni ( a gesti), pedalo a piu non posso, eccomi ci sono, “fermero quel traghetto”corro corro corro ed eccomi impamtanata nel niente sulle sponde del Ruwuma, nessun traghetto ma due barche semiaffondate..il timer che scorre.
Amarezza, delusione e sopratutto: dov’é il battello??
Torno indietro, Filippo é ancora alle prese con il portapacchi, trovo una strada, l’unica alternativa, mi ci butto a capofitto.
Il fango aumenta ma vedo macchine in arrivo, sicuramente appena scese dal fantomatico traghetto.
Filippo mi ha insegnato che qualsiasi cosa succeda “nel dubbio pedalare”, preso in parola mi ritrovo con il fango alle ginocchia.
La scena é la seguente: una foresta incontaminata, il fango alle ginocchia, macchine impantanate e bloccate circondate da una trentina di persone urlanti e sbraitanti in swhaili e poi, come in un film tragicomico, la voce di Filippo echeggia: “SONO DIETRO DI TE, PEDALA PEDALA PEDALA CHE LO PRENDIAMO”
Da lí immaginate la scena come una moviola, io che pedalo, nel dubbio pedalo, Filippo che grida- l’enfasi- l’eccitazione-il timer-il traghetto-il fango-la gioia nel vedere il molo-gente urla in swhaili-Filippo Addams- io che finisco catapultata in una pozza di fango un pó troppo alta-Filippo che rompe di nuovo il portapacchi-corriamo-imprechiamo- SALIAMO SUL MALEDETTO TRAGHETTO.
Stanchi ma soddisfatti arriviamo in Tanzania, posto di blocco e visto fatti in un baleno.
Tutto é diverso.
É bastato attraversare un fiume per trovare un clima diverso, facce diverse, lingua diversa, cibi diversi, fuso orario diverso.
Ci sediamo sotto una capanna, ristorante locale, sono le 13, il sole é infuocato cosi come le nostre teste.
Fililppo non si sente bene e la padrona della capanna ci offre una stuoia su cui poter riposare.
“Pennichelliamo qualche minuto”
Le ultime parole famose.
Ci addormentiamo in pochi secondi e ci risvegliamo con una decina di occhi fissanti intorno a noi dopo piu di 40 minuti, é tardi e ci aspettano ancora 40 km di sterrato.
Ci incamminiamo e tra una parola d’incoraggiamento, una parola stizzita, dovuta alla stanchezza, e una parola di conforto ci ritroviamo a cambiare un’altra camera d’aria, Filippo ha forato (Filippo 6 Vs Claudia 1).
La strada é tremenda, Filippo é stremato, io ho il fango fino alla testa, siamo sporchi e stanchi come poche volte nel nostro lungo viaggio.
Arriviamo in citta molto tardi, il primo posto che troviamo ci sembra una reggia, ci fermiamo e crolliamo.
Decidiamo di prenderci un giorno di stop, dobbiamo lavare tutto, le bici sono da aggiustare e Filippo deve sconfiggere quella maledetta “opzione”, quella che avevamo scongiurato con tutti noi stessi, quella che si riconosce soltanto facendo il test in ospedale, si signori la Malaria!!!
FILIPPO HA PRESO LA MALARIA
Nessun dramma ma tanto rammarico, siamo sempre stati attentissimi tra autan, abiti lunghi e zanzariere ma la zanzaraccia ci ha fregato.
Appena svegli stamattina siamo corsi all’ospedale piu vicino, Filippo non aveva una bella cera e la febbre alta aveva tolto spazio all’ipotesi stanchezza/raffreddore.
Abbiamo cominciato subito la cura, il dottore sostiene che con questa cura in 2 giorni la febbre sparirá e Filippo sara di nuovo in forma.
Noi ci crediamo profondamente.
Pasticche prese, cenato all’italiana (abbiamo scovato pasta buitoni, un miracolo).
Vi salutiamo da sotto la zanzariera del nostro letto con un Filippo un pó ammaccato ma grintoso come sempre.
Supereremo anche questa.
Un saluto a tutti voi.
Leggere questo post mette ansia anche a me che sono tranquillamente seduto ad un tavolino!!! Ragazzi siete davvero forti e questa esperienza è un tesoro che vi porterete per tutta la vita; anzi il prossimo passo sarà sicuramente un bel libro con le vostre avventure. Un grande ” in culo alla balena ” per Filippo. Aspettiamo il prossimo articolo.
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Grazie Renzo!!!
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Grazie Renzo!!! Ci fa strapiacere che ci leggi!!! A presto!!!
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ho letto questo articolo tutto d’un fiato !!!!!!
Ho “controllato” … ormai vi mancano solo _ pochi _ km. circa 1500 ?
incredibile !!
Sandra e Michele staranno organizzando il comitato d’accoglienza.
In bocca al lupo ragazzi !!!!
Baci, Manola
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