Mpingwe-Capanna di Luciano-90 km / E molto altro….Quelimane.

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Siamo spariti per qualche giorno, adesso siamo a Quelimane, le ragioni sono varie.
Dopo un giorno di riposo forzato a Caia ripartiamo consapevoli di dover campeggiare nel niente e di dipendere dal tempo.
La stagione delle piogge é in pieno svolgimento e non da tregua cosi come la salute di Claudia che ormai da qualche giorno accusa uno strano malessere agli occhi, alla testa, debolezza e dolori, ma andiamo avanti.
Dopo pochi chilometri arriviamo allo spettacolare fiume Zambesi.
Questo fiume é il confine tra le regioni di Sofala e Zambesia, il quarto fiume piú lungo in Africa ed il piú grosso fiume africano che sfocia nell’oceano Indiano, misura 2.500 km ed appare maestoso sopratutto dal ponte, che lo attraversa, lungo ben 2.8 km.
Sembra un mare, riusciamo a malapena a farlo rientrare in una unica foto.
Ci muoviamo cosi, in direzione ignota.
Il paesaggio cambia nuovamente, la temperatura si alza, la pioggia continua.
Dopo circa 90 km inizia a fare buio , dobbiamo fermarci, dobbiamo individuare la capanna giusta a cui chiedere ospitalitá.
Chi troviamo?
Luciano 🙂
Ci accoglie con un sorriso smagliante, un uomo alto ma minuto, peserá 60 kg, accanto a Filippo sembra uno scricciolo.
Vive con la moglie(che parla solo in dialetto) e 5 figli (2 avuti dalla moglie precedente).
Ci spiega che in Mozambico per legge quando marito e moglie si separano, i figli restano con il padre.
Luciano non ha niente, solo un campo di mais piccolissimo da cui raccoglie ben poco.
Ci mostra dove mettere la tenda e spazza il cortile dove adagia una stuoia su cui poterci sedere per cenare con tutti loro.
Cala la notte, si alza il vento, il buio piu totale.
É incredibile come queste persone si muovano al buio, con una naturalezza che per noi é impensabile.
Riescono a vedere addirittura la direzione dei nostri volti!
Ci guardiamo intorno e ci troviamo davanti ad un altro paesaggio magico, milioni di lucciole intorno a noi, l’odore del fuoco, i bisbiglii dei bambini (che noi non riusciamo a vedere) intorno a noi..la cena sulla stuoia fatta di xhima (si legge scima ed é la polenta) con fagioli e quella sensazione che ormai ci accompagna da mesi..un altro mondo!
Il fatto di parlare portoghese ci aiuta tantissimo, Luciano si apre e ci racconta la sua vita, le sue difficolta.
Il campo non rende, il cibo costa troppo ma lui é speranzoso, l’unica preoccupazione é mandare i figli a scuola, finiranno la scuola e potranno aiutarlo a lavorare nei campi.
Ormai é tanto che vediamo le vite di queste persone da dentro ma ogni volta restiamo allibiti.
Questa vita “lenta” , ripetitiva, ammorbante, persone che passano le giornate ad aspettare che arrivi il giorno dopo, che passano la notte al buio ascoltando le due o tre canzoni che hanno sul cellulare per intrattenersi.
Per noi é davvero difficile capire fino in fondo come sia possibile, per loro é la normalita.
Non ci puo essere critica alcuna verso una cultura che é semplicemente diversa, forse un pó indietro, ma diversa e sopratutto non ci puo essere una critica allo stato, tanto forte come spesso facciamo, é qualcosa di piú ampio, piú profondo e piú radicato, diverso.
La nottata passa lenta, Claudia non si sente bene, ci svegliamo un pó atterriti dal tempo e dal suo non stare bene.
Partiamo comunque ma dopo 20 km,il diluvio.
Ci chiudiamo dentro una chiesa e ci addormentiamo pesantemente su una panca, cullati dal rumore della pioggia sul tetto d’alluminio.
Ci svegliamo dopo una mezz’oretta, Claudia si sente sempre peggio, sale la febbre e la pioggia non smette, cerchiamo un passaggio per la citta piu vicina: Quelimane.
Si ferma Hergel, un pakistano di 25 anni che con un gran sorriso ci accompagna in hotel a Quelimame.
Primo obiettivo: trovare l’ospedale piú vicino, Claudia é quasi certa di avere la cheratite e le conferme dall’italia (in questo caso una parente di Filippo, oculista) ci portano alla ricerca della cura giusta, che ovviamente non troviamo.
É domenica ed é tutto chiuso.
Torniamo in hotel ma dopo qualche ora sale ancora la febbre, scatta la paura malaria.
Torniamo in ospedale e facciamo il test, potevamo farcelo mancare?
Entriamo in ospedale, cupo e male odorante, ma i dottori sono ok.
Ago pulito, un puntino sul dito, sangue messo sulla piastrina ed aspettiamo 20 minuti.
Lunghissimi!
Test negativo, grosso sospiro di sollievo, torniamo a curare la cheratite ma dobbiamo aspettare il lunedi mattina.
Elena, ormai nostra oculista ufficiale 24h, ci da i principi attivi da cercare.
Vi diciamo solo che in una farmacia alla domanda per avere un collirio antibiotico ci é stato dato un collirio di lacrime artificiali.
Abbiamo dovuto girare tre farmacie per trovare qualcosa di simile a quello che cerchiamo. Speriamo funzioni.
Adesso siamo su un palazzo che affaccia su un estuario, aspettando l’ufficio immigrazione, abbiamo fatto domanda di prolungamento dei visti.
Non viene mai fatto in 24 ore, il console italiano del mozambico ci aveva consigliato di uscire dal paese e rientrare perchè gli uffici immigrazione lo rilasciano mal volentieri e dopo lunghi periodi, ma la nostra risaputa faccia di bronzo, ci ha fatto trovare un biglietto da visita del Direttore Nazionale dell’Immigrazione, sempre la suddetta faccia ci ha permesso di parlarci e farci garantire il visto in 24h, e per finire ancora quella faccia ci ha fatto insistere con il funzionario di turno per avere il visto nel tempo promesso dall “amico caro” Armando Fietines.
Quattro ore più tardi abbiamo i passaporti in mano con il visto prolungato per un mese.

Le magie dell’africa!

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